Henner

Henner si accese una sigaretta e fissò il cadavere a terra. Apparteneva a un uomo anche se di umano c’era ben poco in quell’ammasso di visceri e ferraglia. In vita, il poveraccio, era stato un borg, una fusione di carne e protesi meccaniche.

   Le protesi meccaniche potevano essere salvate, la carne no. Quella era il regno dei vermi.

   Henner si preparò a fare la cernita. Indosso una mascherina, guanti in lattice e cominciò a tagliare e rovistare.

   Sventrò il torso e penetrò con le dita in profondità oltre le costole. Arrivò al cuore e con un colpo secco lo sradicò.

   Lo sezionò fino a trovare dentro un chip.

   “Bingo!” pensò.

   Mise il chip da parte.

   Passò agli occhi. Uno era autentico, ma l’altro una protesi telescopica. Lo sradicò dall’orbita e infilò anche quello in una bustina di plastica sigillata.

   Si concentrò sull’arto superiore sinistro. Dal gomito in giù era una protesi e anche di quelle ben fatte a una prima occhiata. Presa a cinque dita e non a manopola, braccio in fibra di carbonio, innesti bionici.

   Henner prese la motosega, la azionò e tagliò poco sotto il gomito. Il sangue schizzò dapertutto e imbrattò la giacca. Lui non ci fece caso. Metodico, preciso, terminò il lavoro.

   Una volta sviscerato il cadavere delle sue protesi biomeccaniche e di tutto ciò che poteva interessare al mercato del metallo se ne andò.

   Quando tornò a casa, il sole non era ancora calato.

   Entrò nel suo monolocale, chiuse la porta blindata con uno stretto giro di manopola a ruota, poi andò in bagno. Si spogliò e infilò gli abiti insanguinati in una lavatrice industriale e azionò il getto della doccia. L’acqua sarebbe stata calda per i primi 5 minuti, quanto bastava per lavarsi bene.

   Finito di lavarsi Henner, con un asciugamano avvolto intorno alla vita, si avvicinò alla finestra e ciò che vide fu quella che lui chiamava la Linea della Distrizione, ovvero lo skyline cittadino ridotto a un cumulo di macerie e a una sequenza di palazzi troncati.

   Milano non era nemmeno l’ombra di se stessa. Dopo il Grande Boom si era trasformata in una sorta di cratere dove gli uomini si muovevano disperati come insetti. Ogni autorità era saltata e l’unica legge che vigeva era quella del più forte. O del più astuto.

   Franco era astuto. Anche se lui preferiva la parola attento.

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